In seguito a violenze o abusi il Pronto Soccorso diventa il primo punto di accoglienza e assistenza per la donna vittima di violenza sessuale. Vediamo in questo articolo, nei suoi tratti principali, qual è il percorso che la paziente segue, dall’accoglienza alla dimissione
La violenza sessuale colpisce milioni di donne nel mondo con effetti fisici, psicologici ed emotivi devastanti, con conseguenze anche a lungo termine. In Italia i dati Istat1 mostrano che in Italia il 31,5% delle donne ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale.
La violenza sessuale è definita come qualsiasi atto sessuale compiuto da una (o più) persone su un’altra senza il suo consenso. La violenza sessuale non si realizza solo con il tradizionale congiungimento fisico ma anche con qualsiasi atto di intrusione nella sfera altrui come, ad esempio, baci, tocchi o carezze indesiderate.2 La pena oggi prevista per questo reato è della reclusione da 5 a 10 anni.
Accoglienza alla vittima di violenza sessuale in Pronto Soccorso
Gli operatori sanitari più “vicini” alla violenza sessuale sono quelli delle strutture di Primo Soccorso (PS, DEA I, DEA II) in quanto spesso primo luogo di accoglienza e assistenza alla vittima.
Al triage (l’area del Pronto Soccorso dove viene fatta una prima selezione dei pazienti sulla base della gravità del caso) è necessario assegnare almeno un codice giallo (accesso entro 10 minuti) , rosso (accesso immediato) se vi è alterazione grave dei parametri vitali, evenienza possibile in caso di somministrazione di droghe o alcol (l’alcol è la sostanza più comune segnalata in questi casi).3
L’assistenza alla vittima non deve riguardare solo l’spetto medico ma anche quello psicologico. La donna presa in carico deve essere accompagnata in un’area separata dalla sala d’attesa generale che le assicuri protezione, sicurezza e riservatezza. L’operatore dovrebbe avere un comportamento rassicurante e protettivo, disponibile all’ascolto, soprattutto non giudicante in quanto non è compito dei sanitari accertare la veridicità del racconto o l’attendibilità della vittima. Generalmente è preferibile che l’operatore sia dello stesso sesso della vittima. È meglio allontanare l’assistita da eventuali accompagnatori perché potrebbero non essere a favore della donna o perché la stessa potrebbe avere imbarazzo a parlare davanti a terzi, cosi come è meglio allontanare eventuali altri operatori la cui presenza non sia indispensabile.
I sanitari possono essere chiamati a rispondere di violazione del “Segreto professionale” (art. 622 c.p.), in caso di violazione della riservatezza della vittima di violenza sessuale. Al triage il sistema informatico ha la possibilità, tramite un’apposita funzione, di rendere anonimi i dati della paziente oscurando nome, cognome, ecc. Analoghe considerazioni riguardano la “violazione della privacy” laddove l’infermiere di triage fornisca dati sensibili sullo stato di salute della paziente a terze persone senza che la stessa abbia acconsentito preventivamente a tale comunicazione.
Nei casi in cui la vittima sia accompagnata dalle Forze dell’Ordine, l’operatore sanitario deve comunque garantire la priorità dell’assistenza sanitaria rispetto alle necessità dell’indagine, fermo restando che la visita e il colloquio devono avvenire in forma riservata, senza il coinvolgimento delle FF.OO.
Sin da questa prima fase si deve informare la vittima circa l’importanza della raccolta e conservazione di eventuali prove del crimine e che queste saranno meglio conservate se si evita di fare la doccia, andare in bagno, pulirsi le unghie, lavarsi i denti o cambiarsi i vestiti, non bere e mangiare.
È anche necessario raccogliere i vestiti della vittima e conservarli in un apposito contenitore a fini legali (chiuso con nastro con sopra le generalità della paziente). Se ci sono le forze dell’ordine è meglio consegnarli subito, documentando il tutto con apposito verbale di consegna.
La violenza sessuale può essere solo l’ultimo di una lunga serie di episodi di violenza. In questi casi è opportuno informare la donna circa la presenza sul territorio dei Centri antiviolenza e avviare, qualora la donna ne faccia richiesta, le procedure di contatto con gli stessi Centri o con gli altri attori della rete antiviolenza territoriale.
Se vuoi saperne di più….
L’assistenza sanitaria a seguito di violenza sessuale include parlare con un medico di ciò che è accaduto prima, durante e dopo l’evento. Il medico dovrà raccogliere un accurato resoconto dei fatti e dei dati relativi all’evento (data, ora e luogo, numero dei soggetti coinvolti, ecc.). Il medico procederà poi ad una completa visita medica della paziente, per diagnosticare e curare le lesioni subite durante l’aggressione, segnalando la presenza di lesioni traumatico-contusive recenti (arrossamento, escoriazioni, sanguinamento, ecc.). Le lesioni traumatiche acute da violenza sessuale includono graffi, lividi e lividi. In casi più sporadici le donne subiscono lesioni più estese come fratture, traumi cranici e facciali, lacerazioni, ferite da arma da fuoco o addirittura la morte. Vanno cercate, descritte e possibilmente documentate fotograficamente, tutte le lesioni presenti, specificandone l’aspetto, la forma ed il colore, le dimensioni e la sede. Le fotografie rappresentano un elemento di forte tutela per la donna poichè rendono “osservabili” le lesioni anche a distanza di tempo. Le aree più comunemente ferite includono il seno, i genitali esterni, la vagina, l’ano e il retto.
Si dovrà poi procedere, previa adeguata comunicazione e consenso da parte della donna, all’esecuzione di prelievi per esami batteriologici, ematochimici, tossicologici, infettivologici e per la ricerca del liquido seminale (in base alla descrizione degli eventi). In base al tempo trascorso dalla violenza (al massimo entro i sette giorni) è necessario effettuare tre tamponi sterili per la ricerca degli spermatozoi nelle sedi orale, vaginale e rettale.
Possono essere eseguiti test di base per le malattie sessualmente trasmissibili, incluso l’HIV, l’epatite B e sifilide, e forniti farmaci per prevenire e curare tali malattie. Le più comuni infezioni sessualmente trasmissibili, dopo violenza sessuale, includono tricomoniasi, gonorrea e Chlamydia trachomatis.4 Sebbene il rischio di contrarre l’HIV da un’aggressione sessuale sia basso, la letteratura riporta casi di avvenuta trasmissione.5 Nel caso risulti la concreta probabilità di questa infezione si potrà chiedere alla paziente di sottoporsi ad una specifica terapia anti-retrovirale a scopo di profilassi (da effettuare preferibilmente entro 1-4 ore, e non oltre le 48 ore).6
La violenza sessuale può portare alla gravidanza; pertanto, sempre previa acquisizione del consenso informato, è opportuno prescrivere, nei casi di violenza sessuale con riferita penetrazione vaginale o comunque qualora vi sia un rischio eventuale, la prescrizione di un contraccettivo d’emergenza. Il farmaco è efficace entro 5 giorni dall’episodio riportato di violenza, ma la sua efficacia è tanto più elevata quanto prima viene somministrato.7
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BIBLIOGRAFIA
2 Articolo 609 bis Codice Penale
3 McCormack D., Subburamu S., Guzman G., et al. “Traumatic Injuries in Sexual Assault Patients in the Emergency Department”. West J Emerg Med. 2022 Aug 19;23(5):672-677
4Lamba H., Murphy SM. “Sexual assault and sexually transmitted infections: an updated review”. Int J STD AIDS 2000;11:487–91
5 Vandercam B., Therasse P., Aziz M., et al. “HIV infection and rape”. Acta Urol Belg 1992;60:77-81
6 Decreto del presidente del consiglio dei ministri 24 novembre 2017. “Linee Guida nazionali per le Aziende sanitarie e le Aziende ospedaliere in tema di soccorso e assistenza socio-sanitaria alle donne vittime di violenza” (link).
7 Ibidem
Foto: pexels-anete-lusina-5723194