In caso di errore sanitario è possibile, prima di rivolgersi alle vie legali, tentare un bonario accordo tra le parti? Vediamolo in questo articolo
Quando, in caso di presunto errore sanitario si apre un “contenzioso” cioè un procedimento giudiziale tra due o più soggetti in conflitto tra di loro spetta al giudice, ovvero a una terza persona, il compito di chiarire chi “abbia ragione”, accertando se esistano eventuali responsabilità, danni, ecc. Prima di arrivare a questo esistono però forme più “amichevoli” di risoluzione delle controversie, in materia di responsabilità sanitaria, vediamo quali.
Infatti la normativa italiana[1] prevede alcune forme di risoluzione extragiudiziale delle controversie che, attraverso soluzioni a vantaggio sia del paziente che della struttura sanitaria, hanno l’obiettivo di evitare il ricorso alla giustizia ordinaria (tribunale) con tempi più rapidi nella definizione delle vertenze. Il paziente (o i suoi familiari in caso di decesso) può così essere indennizzato più rapidamente grazie a un accordo conciliativo tra le parti sapendo che potrà sempre intraprendere la via della giustizia ordinaria in caso di mancato accordo.
Questi strumenti sono rappresentati principalmente dalla Consulenza tecnica preventiva, dalla Mediazione e dalla Transazione. Vediamoli di seguito brevemente.
La legge “Gelli” sulla responsabilità sanitaria e la sicurezza delle cure[2] ha previsto il tentativo obbligatorio di conciliazione per la risoluzione delle controversie. Infatti, recita la legge, “chi intende esercitare un’azione innanzi al giudice civile relativa a una controversia di risarcimento del danno derivante da responsabilità sanitaria è tenuto preliminarmente a proporre ricorso ai sensi dell’articolo 696-bis del codice di procedura civile dinanzi al giudice competente”. La presentazione del ricorso costituisce pertanto condizione di procedibilità della domanda di risarcimento. Ciò significa, in sostanza, che se prima di andare dal Giudice non si tenta la conciliazione, il Giudice non può istruire la causa.[3]
L’accertamento tecnico preventivo finalizzato alla conciliazione è un procedimento previsto dall’art. 696 bis del codice di procedura civile, introdotto nel 2005. Anche se questo procedimento vede la presenza del Giudice, di fatto a tentare la conciliazione non è il giudice ma il consulente del giudice, il giudice interviene solo nel momento della nomina del consulente stesso e in veste di “certificatore” di quanto contenuto nel verbale di conciliazione.
Infatti il giudice, a seguito del ricorso presentato da una delle parti in causa nomina un esperto della materia, il Consulente Tecnico d’Ufficio (CTU), che procederà a verificare se la responsabilità sanitaria sussista o meno, ed eventualmente a quantificare i danni, il tutto provando a far raggiungere alle parti un accordo conciliativo. Punto nodale del provvedimento è la presentazione di un’offerta di risarcimento del danno al paziente, al fine di giungere all’accordo. In tale contesto la compagnia assicurativa ha l’obbligo di formulare una proposta di risarcimento del danno sulla base di quanto emerso a seguito dell’accertamento tecnico preventivo, In caso di mancata formulazione, a questa sono comminate delle sanzioni.
Se l’accordo viene raggiunto tutto sarà formalizzato in via ufficiale, solitamente attraverso una scrittura privata. In caso contrario le parti non avranno nessun obbligo in quanto il procedimento non termina con una sentenza ma solo con un accertamento tecnico (cioè la relazione finale del CTU) per cui sarà necessario intraprendere una causa ordinaria in Tribunale che però sarà influenzata pesantemente dalle conclusioni cui era giunto il CTU in precedenza nella sua relazione. Infatti, i risultati della consulenza tecnica possono essere utilizzati nell’eventuale successivo giudizio in tribunale.
La legge Gelli sopracitata permette di esperire, in via alternativa alla Consulenza tecnica preventiva, il procedimento di mediazione. La mediazione civile è un istituto giuridico previsto dall’Unione Europea, che ne ha richiesto l’adozione agli Stati membri fin dal 2008.[4]
Per avviare la procedura di mediazione è necessario depositare la domanda presso un Organismo di mediazione rientrante tra quelli accreditati presso il Ministero di Giustizia.
L’istituto della mediazione è definita come l’attività svolta da un terzo imparziale finalizzata ad assistere due o più soggetti sia nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, sia nella formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa.[5] Concretamente, nella mediazione, un soggetto terzo viene chiamato a risolvere il conflitto ponendosi in maniera neutrale rispetto alle due parti in causa.[6] Il mediatore non deve necessariamente possedere conoscenze mediche, ma deve assistere le parti e favorirne la comunicazione per raggiungere una soluzione alla lite. Nella maggior parte dei casi il mediatore si avvale dell’ausilio di un terzo, esperto nella materia oggetto del contendere, per la redazione di una perizia tecnica in grado di facilitare sia gli sforzi delle parti di accordarsi, sia l’opera del mediatore nella formulazione della proposta conciliativa. Se la mediazione va a buon fine si raggiunge un accordo chiamato “conciliazione”. Se invece l’accordo non viene raggiunto, al danneggiato non rimarrà che intraprendere le vie della giustizia ordinaria cioè rivolgersi al tribunale, in sostanza “facendo causa” al medico o alla struttura ospedaliera.
Ad oggi in Italia manca ancora purtroppo la cultura della mediazione, al contrario dei paesi di cultura anglosassone dove è molto più diffusa. È noto, infatti, che una delle principali cause dell’esito infruttuoso della mediazione in sanità è rappresentata dalla mancata partecipazione al procedimento di tutti i soggetti interessati. Questo atteggiamento è senz’altro controproducente soprattutto per quelle aziende sanitarie che hanno optato per una gestione in “autotutela” delle coperture per danni a terzi mediante accantonamento di fondi che in tal modo rimangono inutilizzati per anni in attesa dei lunghi tempi della giustizia ordinaria.[7] Vanno invece sottolineati i concreti vantaggi di una procedura di mediazione conclusa con esito positivo rispetto alla giustizia ordinaria: basti pensare che le procedure giudiziarie generalmente non si concludono prima dei tre/quattro anni mentre la durata massima della mediazione è di 3 mesi decorrenti dal deposito della domanda presso l’Organismo di mediazione.
Al passo con i tempi, stante anche l’evoluzione tecnica imposta dalla pandemia, è oggi possibile svolgere tutto il percorso di mediazione in modalità on line.[8
Transazione
La Transazione, diversamente dalla mediazione, non vede la presenza di un soggetto terzo imparziale, ma delle sole parti contendenti. L’obiettivo della Transazione è ricercare un accordo che ponga fine alla controversia attraverso una rapida ed equa soddisfazione delle richieste dei danneggiati, evitando il ricorso alla mediazione e alle vie legali. L’eventuale accordo tra le parti ha natura di transazione ai sensi dell’art. 1965 del codice civile.
Al fine di diffondere l’istituto della transazione il Ministero della salute pubblicò nel 2011 una specifica “Raccomandazione per la risoluzione stragiudiziale del contenzioso nelle aziende sanitarie”[9] contenenti indicazioni per la costituzione, presso ogni struttura sanitaria di organismi interni su base aziendale, i cosiddetti Comitati Aziendali di Valutazione dei Sinistri (CAVS), cui affidare, oltre la gestione diretta dei sinistri e la formulazione di pareri sulle richieste risarcitorie, anche la funzione di definizione stragiudiziale delle controversie.
La Transazione quindi, attraverso i CAVS, può essere utilizzata dalla struttura sanitaria in tutti casi in cui si verifica un evento che ha provocato un danno al paziente che ha avviato l’iter di una richiesta di risarcimento.
La diffusione della Transazione aveva l’obiettivo di prevenire il ricorso al processo ordinario civile. Purtroppo nella prassi comune si osserva invece che la struttura sanitaria preferisca che sia il Tribunale a stabilire l’esatta entità del danno piuttosto che trovare un accordo transattivo per non correre il rischio di venire giudicati sfavorevolmente dalla Corte dei Conti per aver sottoscritto degli accordi stragiudiziali svantaggiosi.
In un altro articolo abbiamo visto come fare per ottenere un risarcimento per errore sanitario (link).
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BIBLIOGRAFIA
[1] Intesa Stato-Regioni n. 116 del 20-03-2008. Punto n. 6 concernente la gestione del rischio clinico e la sicurezza dei pazienti e delle cure
[2] Legge 24/2017. “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie”
[3] Ibidem. Art. 8, comma 2
[4] Parlamento UE Consiglio CE Direttiva 21.05.08, n.52 – Direttiva 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 maggio 2008 relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale. Pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 24 maggio 2008, L136
[5] Decreto Legislativo 4 marzo 2010 n. 28. Attuazione dell’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali. Gazzetta Ufficiale del 5 marzo 2010, n. 53
[6] D. Lgs. n. 28/2010. Art. 1 co. 1 lett. a)
[7] Bugiolacchi L. “La procedura obbligatoria di mediazione finalizzata alla conciliazione nelle controversie civili di risarcimento del danno da responsabilità medica”. Università degli Studi di Roma “Unitelma Sapienza”, 2017
[8] Fraioli F. “Tutto quello che bisogna sapere sulla “mediazione” in sanità” Articolo pubblicato sul sito QuotidianoSanità del 09-01-2023
[9] Ministero della Salute. “Linee guida per gestire e comunicare gli eventi avversi in sanità”. Capitolo “Raccomandazione per la risoluzione stragiudiziale del contenzioso nelle aziende sanitarie”. Roma, 2011. Pag. 43