Con la legge Gelli-Bianco le linee guida sono diventate un riferimento obbligatorio per i giudici nei giudizi per responsabilità sanitaria di medici, infermieri e altri operatori sanitari
A partire dagli anni ‘80 del novecento, con lo scopo di aiutare i professionisti ad assumere decisioni cliniche sempre più supportate da evidenze scientifiche, in molti paesi cominciano ad essere emesse le cosiddette «linee guida». Secondo una accettata definizione le linee guida consistono in «raccomandazioni di comportamento clinico, elaborate mediante un processo di revisione sistematica della letteratura e delle opzioni scientifiche, con lo scopo di aiutare i medici e i pazienti a decidere le modalità assistenziali più appropriate in specifiche situazioni cliniche».[1] In altre parole una linea guida riassume l’attuale stato delle evidenze scientifiche e lo traduce nella pratica clinica, fornendo quella che, secondo gli esperti, rappresenta la migliore pratica possibile in un determinato ambito.
Il 1° aprile 2017 è entrata in vigore la legge 24/2017 (cosiddetta “Gelli”) sulla sicurezza delle cure e la responsabilità professionale degli esercenti la professione sanitaria.[2] Si ricorda che tale legge non è rivolta solo alla classe medica ma a tutti gli operatori sanitari, quindi anche infermieri, ostetriche, ecc. La legge prevede l’adesione, da parte dei professionisti sanitari che effettuano prestazioni con finalità preventive, diagnostiche, terapeutiche, palliative, riabilitative e di medicina legale, alle raccomandazioni previste dalle linee guida o, in mancanza di queste, alle buone pratiche clinico-assistenziali, «salve le specificità del caso concreto».
La legge Gelli-Bianco stabilisce che le linee guida, previa verifica della sussistenza di tutti i requisiti (che sono dalla stessa legge stabiliti), entreranno a far parte del Sistema nazionale per le linee guida (SNLG), organismo gestito dall’Istituto Superiore di Sanità.[3] Le linee guida, una volta pubblicate sul sito internet dell’Istituto Superiore di Sanità, vengono ad assumere non solo un valore scientifico ma anche giuridico: hanno un valore scientifico perché comunque tutti gli operatori sanitari si devono ispirare a quello che le linee guida affermano e valore giuridico perché tutti i giudici, con i loro periti e consulenti tecnici, avranno tali linee guida come riferimento obbligatorio cui attenersi per la valutazione delle condotte di medici, infermieri e altri esercenti la professione sanitaria.
Le linee guida forniscono una tutela giuridica ma non mettono al riparo l’operatore da responsabilità. Gli operatori sanitari sono infatti tenuti ad effettuare una valutazione personale riguardo al trattamento più appropriato cui sottoporre il singolo paziente. Come abbiamo visto, condizione posta dalla norma[4] per esimere da responsabilità il sanitario è che le “linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto”. Questo significa che il professionista sanitario dovrà valutare preliminarmente l’adeguatezza delle linee guida al caso concreto cioè al singolo paziente ed, eventualmente, qualora non le reputi adatte, discostarsene. Non sarà, pertanto, esclusa la responsabilità dell’esercente la professione sanitaria che abbia posto in essere condotte previste dalle linee guida rivelatesi errate, allorché si dimostri la loro incompatibilità con i canoni di prudenza, diligenza e perizia.
Per non rischiare di incorrere in future problematiche di natura legale, qualora l’operatore decida di discostarsi dalle linee guida cosi come pubblicate ai sensi di legge dovrà motivarne le ragioni nella documentazione sanitaria del paziente.[5]
Esistono già sentenze in cui la mancata osservanza delle linee guida ha dato luogo a colpa per negligenza.[6] Per negligenza si intende la condotta del sanitario non osservante delle regole terapeutiche alle quali occorreva attenersi quindi alle linee guida ovvero alle buone pratiche sanitarie in quanto applicabili al caso specifico).[7]
Una sentenza della Corte della Cassazione ha annullato una sentenza di condanna poiché nella decisione i giudici di merito avevano trascurato di indicare a quali linee-guida o, in mancanza, a quali buone pratiche clinico-assistenziali, si sarebbe dovuto ispirare il comportamento doveroso dei sanitari.[8]
Si tratta, con ogni evidenza, di questioni di grande importanza, poiché l’eventuale riconduzione di una condotta ad imperizia, anziché alle altre categorie della negligenza e dell’imprudenza, ove riconosciuta di grado lieve, potrebbe condurre all’applicazione della causa di non punibilità introdotta dalla legge Gelli-Bianco.[9]
In un altro articolo abbiamo parlato di rischio e responsabilità professionale in era Covid (link).
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BIBLIOGRAFIA
[1] Field MJ, Lohr KN «Guidelines for clinical practice. From development to use». Washington DC 1992
[2] Legge 8 marzo 2017 n. 24 “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie”
[3] Decreto del Ministero della salute 27 febbraio 2018 “Istituzione Sistema Nazionale Linee Guida (SNLG)”
[4] Art. 590 sexies c.p.
[5] Fondazione Italia in Salute. “Le linee guida dopo la legge n.24/2017. Aggiornamenti e prospettive“. I Quaderni della Fondazione Italia in Salute n. 2, a cura di Federico Gelli e Fidelia Cascini, prima edizione, anno 2020. Pag. 31
[6] Corte di Cassazione, sezione IV penale, sentenza 11 luglio 2017, n. 33770
[7] Avoli A. “La responsabilità civile ed amministrativa in ambito sanitario alla luce della legge Gelli – Bianco. La posizione del medico legale”. Atti del II Convegno nazionale di Medicina legale per la Pubblica Amministrazione. Pag. 7
[8] Forestieri A. “La responsabilità penale dell’esercente la professione sanitaria“. Articolo pubblicato sul sito di informazione giuridica “Altalex” in data 09-07-2021 (link)
[9] Cenci D. “Le Sezioni Unite Mariotti: tra prospettive e criticità aperte”. Sito web “Diritto penale e procedura”, 13/01/2021