Vediamo in questo articolo quali sono gli elementi necessari al Giudice per provare la responsabilità penale dell’operatore sanitario (medico, infermiere, ecc.)
L’art. 27 della Costituzione afferma che la responsabilità penale è personale. Significa che ognuno risponde penalmente dei propri comportamenti e non del fatto di altri. Lo stesso articolo afferma che l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva che interviene dopo essere stati condannati in 1° grado, in Appello e poi in Cassazione.
La responsabilità penale è quella che deriva dall’attuare condotte che si configurano come reati. In caso di danno al paziente gli operatori sanitari rispondono in sede penale per due fattispecie di reato: lesioni personali colpose ed omicidio colposo.
In ambito sanitario il giudice per poter condannare un soggetto per responsabilità penale ha bisogno di tre elementi:
- la condotta illecita (è il comportamento umano che può consistere in un’azione o in un’omissione. Prende il nome di condotta commissiva se il soggetto fa qualcosa che non avrebbe dovuto fare, di condotta omissiva se non fa qualcosa che avrebbe dovuto fare)
- il danno al paziente (è il risultato dell’azione o dell’omissione, cioè la conseguenza della condotta del soggetto)
- il nesso di causalità (è il rapporto necessario che deve intercorrere tra la condotta del soggetto e il danno causato).
Di questi tre elementi, mentre il concetto di danno è intuitivo, lo sono meno quello di condotta e nesso causale. Vediamoli di seguito brevemente.
La condotta
La responsabilità professionale, dal punto di vista penale, è sempre colposa (“colposo” vuol dire che non vi era, nel soggetto, la volontà di compiere un fatto che però si è verificato ugualmente, appunto per colpa). Allora perchè un soggetto deve rispondere per un fatto che non voleva che accadesse? Perché l’evento era prevedibile e quindi evitabile. Infatti se l’evento è imprevedibile non può costituire reato colposo (non c’è nesso causale appunto perché era imprevedibile).
Se l’evento era prevedibile il giudice si domanda: perché non è stato evitato? Per valutare questo aspetto è necessario considerare l’elemento psicologico del reato. Infatti per compiere un reato non è sufficiente che il soggetto commetta un fatto, ma occorre che questo fatto gli appartenga psicologicamente cioè sia imputabile alla sua volontà.[1] A seconda della volontà del soggetto il fatto può essere distinto in doloso, colposo, preterintenzionale:
- doloso vuol dire che il soggetto ha agito volontariamente
- colposo, come già detto, vuol dire che non vi era la volontà di compiere un determinato fatto-reato, che però si è verificato ugualmente. Se la colpa nasce da negligenza, imprudenza o imperizia viene detta colpa soggettiva. Se la colpa nasce invece da inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline (per esempio mancata osservanza di linee guida, protocolli, ecc.) si parla di colpa oggettiva [2]
- preterintenzionale significa “oltre l’intenzione” e dal punto di vista giuridico si configura quando il soggetto parte con l’intenzione dolosa di commettere un determinato reato, che ha un certo articolo di legge, ma poi ne ottiene un altro, che ha un altro articolo.
Il nesso causale
Recita l’art. 40 del codice penale:
- “Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende la esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione.
- Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”.
Pertanto, affinché un determinato comportamento possa dar luogo a responsabilità occorre sempre che l’azione o l’omissione posta in essere dal soggetto responsabile sia strettamente collegata all’evento lesivo da un rapporto definito di causalità. Ciò vuol dire che l’azione o l’omissione devono essere diretta conseguenza dell’accadimento lesivo e che in loro assenza il danno non si sarebbe sicuramente verificato.[3]
Il giudice chiamato ad esprimersi su un determinato caso ha il compito di accertare il nesso causale tra la violazione degli obblighi di comportamento professionale del sanitario e il reato. Egli deve valutare se, sulla base degli elementi a disposizione, sussiste o meno la ragionevole probabilità che il comportamento colposo dell’operatore sanitario (medico, infermiere, ecc.) sia stato la causa scatenante del fatto accaduto. Se l’accertamento è positivo, allora sarà comminata la condanna, secondo quanto previsto dal Codice Penale per quel determinato reato.[4]
In sede penale il giudizio sul nesso causale tra condotta ed evento deve essere espresso, in termini di certezza, “oltre ogni ragionevole dubbio” e comunque di elevata probabilità logica.[5]
In un altro articolo abbiamo parlato della principali modifiche apportate dalla Legge 24/2017 (legge “Gelli”) alla responsabilità professionale sanitaria (qui).
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BIBLIOGRAFIA
[1] Mantovani F. “Diritto penale – parte generale“. Ed. CEDAM, p. 279
[2] Art. 43 c. p.
[3] “Il nesso di causalità nella responsabilità medica”. Articolo pubblicato il 13-04-2019 sul portale giuridico “Studio Cataldi” e disponibile al seguente link
[4] Policarpio I. “Omicidio colposo: definizione e disciplina“. Articolo pubblicato il 12/12/2018 sul portale web “www.money.it” e disponibile al seguente link
[5] Sentenza Franzese, Sez. Un. Pen. n. 30328/2002