L’emergenza pandemica ha evidenziato con chiarezza la necessità di abbandonare il sistema “ospedalocentrico” in favore di un sistema integrato ospedale-territorio
Una delle distorsioni attuali del Servizio Sanitario Nazionale si può riassumere nel concetto di “ospedalcentrismo”, ovvero nella ricerca persistente della centralità dell’ospedale rispetto al territorio.[1] Si tratta di un’eredità del passato, quando il ricovero ospedaliero era l’unica risposta possibile ai bisogni di salute del cittadino. In realtà tale modello è ormai anacronistico in quanto non tiene conto dei cambiamenti intervenuti nella società, costituita sempre più di persone anziane, con un alto tasso di cronicità e disabilità, che necessità di essere costantemente seguita e monitorata, in un’ottica di prevenzione delle malattie.
Il sistema attuale non solo non è funzionale ma è addirittura controproducente perchè comporta l’accumulo sull’ospedale di un notevole volume di prestazioni improprie generando, oltre un’aumentata spesa sanitaria, anche un disagio enorme per i cittadini, si pensi solo ai servizi di Pronto Soccorso, ormai ridotti a gironi danteschi. Inoltre il sovraffollamento ospedaliero rende gli ospedali luoghi meno sicuri, in quanto le richieste di assistenza eccedono la capacità di risposta del sistema causando costanti situazioni di rischio per pazienti e operatori.[2, 3]
Anche durante la pandemia il modello ospedalocentrico ha mostrato i suoi limiti, in favore di modelli basati su una maggiore integrazione territorio-ospedale. Solo per fare un esempio il Veneto e l’Emilia Romagna, regioni dotate di una rete socio territoriale avanzata, hanno avuto molte meno perdite, tra le persone contagiate, di altre regioni italiane. Come ha affermato la Corte dei conti: “La mancanza di un efficace sistema di assistenza sul territorio ha lasciato la popolazione senza protezioni adeguate[4]
Dopo la pandemia è il sistema sanitario nel suo insieme che dovrebbe essere l’oggetto di una revisione profonda, non solamente l’ospedale: l’assistenza sanitaria si svolge infatti sia dentro che fuori le mura ospedaliere ed è molto difficile separare i due mondi, sia in termini di esiti che di organizzazione che di aspetti economici. Occorre abbandonare la logica ospedalocentrica per realizzare concretamente la logica secondo cui ospedali, strutture di cure intermedie (case della salute, ospedali di comunità) e di cure primarie costituiscono un sistema integrato nel quale i servizi vengono portati il più possibile verso i pazienti.[5]
La pandemia ci ha insegnato come l’ospedale debba essere l’ultima opzione, cui ricorrere solo in caso di emergenza, se non si vuole rischiare il collasso dell’intero sistema e quanto sia importante la connessione tra i diversi livelli di assistenza, finora considerati come entità separate.
Appare evidente l’urgenza di migliorare l’accesso alle cure per i pazienti sul territorio passando da una visione ospedalocentrica ad un approccio domiciliare e territoriale dell’assistenza. In questo modo si raggiungerebbe l’obiettivo di rendere più leggero il carico delle strutture ospedaliere e del personale sanitario in esse operante che potrà dedicarsi alla gestione dei casi più complessi soprattutto in situazioni di emergenza.
In questo scenario di cambiamento, la riorganizzazione delle strutture ospedaliere per “intensità di cura” appare essere il modello organizzativo più indicato,[6] superando la rigida compartimentazione in divisioni e favorendo invece la condivisone degli spazi in cui accogliere le diverse tipologie di pazienti in relazioni alle loro diverse necessità assistenziali (ne abbiamo parlato in questo articolo). Con la pandemia gli ospedali organizzati per “intensità di cura” sono riusciti meglio ad adattarsi per accogliere i pazienti COVID-19 e ad ottimizzare l’uso dei posti letto disponibili, delle tecnologie e del personale sanitario ed a integrarsi più agevolmente con strutture COVID-19 dedicate extra ospedaliere.[7]
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BIBLIOGRAFIA
[1] Giovanna Vicarelli, Guido Giarelli. “Libro Bianco. Il Servizio Sanitario Nazionale e la pandemia da Covid-19. Problemi e proposte”. FrancoAngeli editore, Milano 2021. Pag. 122 (link)
[2] Stowell et al. “Hospital out-lying through lack of beds and its impact on care and patient outcome”. Scandinavian Journal of Trauma, Resuscitation and Emergency Medicine, 2013
[3] Barrett et al. “A Bed Management Strategy For Overcrowding In the Emergency Department”. Nursing Economic$, 2012
[4] Corte dei conti. “Rapporto 2020 sul coordinamento della finanza pubblica”. Pag. 25
[5] Caporale C., Collicelli C., Durst L. (a cura di). “Dopo la pandemia. Appunti per una nuova sanità“. CNR Edizioni, 2022. Pag. 33
[6] Giovanna Vicarelli, Guido Giarelli. “Libro Bianco. Il Servizio Sanitario Nazionale e la pandemia da Covid-19. Problemi e proposte”. FrancoAngeli editore, Milano 2021. Pag. 133
[7] G.Banchieri, M.Dal Maso, M.Ronchetti, A.Vannucci. “Il Covid, il Pnrr e l’ospedale “flessibile”. Articolo pubblicato sul portale di informazione sanitaria Quotidianosanità il 16-02-2022 (link)
Foto di Paul Brennan da Pixabay