Cosa succede quando una persona accusa un malore nei viali dell’ospedale? A chi compete l’intervento, all’ospedale o al 118?
Recentemente un uomo è morto dopo essere stato colto da malore mentre si trovava nei viali di un grande ospedale del sud Italia. Anche se le notizie non sono certe, secondo testimoni presenti sul posto, nessuno sarebbe intervenuto dai vicini edifici dell’ospedale per prestare soccorso al malcapitato.
Il caso era sembrato subito grave, infatti il paziente è deceduto per arresto cardiaco. In questi casi l’intervento salvavita è costituito dall’utilizzo del defibrillatore semiautomatico esterno (d’ora in avanti DAE), un piccolo apparecchio di facile utilizzo capace con un leggero impulso di far “ripartire” il cuore ed evitare cosi l’anossia cerebrale e danni irreversibili al cervello.[1] In ospedale i DAE sono collocati in punti strategici, comprese le aree non sanitarie in cui sia previsto un elevato afflusso di persone per es. aree di ristorazione, CUP, aree amministrative, parcheggi, ecc.[1] Questo perchè, naturalmente, le emergenze possono riguardare tutti e non solo i pazienti.
In Italia, la gran parte dei nostri attuali nosocomi risale agli anni 30, anni in cui gli ospedali venivano costruiti a “padiglioni”, cioè privi di comunicazione tra gli edifici, allo scopo di poter meglio limitare il diffondersi delle malattie infettive, si pensi per esempio al Policlinico Umberto I di Roma che è il più grande ospedale d’Europa, costituito da 54 “padiglioni” dislocati su oltre 300.000 mq. Quando gli ospedali sono grandi, come in questo caso, inframmezzati da viali/strade/giardini, a maggior ragione i DAE dovrebbero essere diffusi soprattutto nelle aree più distanti o isolate. Era questo il caso, o non vi era nessun DAE nei pressi? Se vi era, perché nessuno lo ha utilizzato, come affermano i testimoni?
Ma chi dovrebbe intervenire quando un evento critico avviene nei viali dell’ospedale? Tutti pensano che sia l’ospedale, ma non sempre è cosi, negli ospedali a padiglioni il soccorso è affidato al 118. Ciò rischia di generare confusione su chi debba intervenire per primo e portare ad una generale deresponsabilizzazione circa la persona da soccorrere.
Per scongiurare ritardi è necessario che ogni struttura sanitaria si doti di un piano per affrontare, con rapidità e nel modo più appropriato, eventuali situazioni di emergenza che si dovessero presentare. Non si può certo rimandare l’assistenza fino all’arrivo dell’ambulanza, ma occorre intervenire subito con la defibrillazione precoce e le manovre di rianimazione cardiopolmonare (BLS-D), per aumentare le possibilità di sopravvivenza del paziente.[2] I ritmi suscettibili di defibrillazione con il tempo si deteriorano a ritmi non defibrillabili, per questo è necessario agire subito, già da parte di chi si trova sul posto.
Una recente legge ha previsto la presenza dei DAE in ogni luogo aperto al pubblico, come centri commerciali, aeroporti, scuole, centri sportivi, ecc., consentendo l’uso del DAE anche a personale non sanitario.[3] Stando a quanto accaduto, paradossalmente, si rischia di essere meglio assistiti in una palestra che dentro un ospedale, dove i tempi di intervento rischiano di essere pericolosamente più lunghi. Infatti spesso l’invio dell’ambulanza non sempre è immediato, per vari motivi, si pensi, per esempio, al fenomeno dei “blocco barella” presso i Pronto Soccorso o all’indisponibilità di mezzi se questi sono già occupati in altri interventi, causando possibili ritardi.[4] Inoltre in complessi ospedalieri molto grandi come quelli sopra descritti, con superficie di quasi mezzo chilometro quadrato, può essere difficile per l’equipaggio dell’ambulanza individuare subito il luogo esatto in cui intervenire, determinando ulteriore ritardo.
In molti ospedali sono state costituite apposite squadre di pronto intervento costituite da medici e infermieri di emergenza, chiamati ad intervenire con prontezza all’occorrenza di un’emergenza sanitaria all’interno dei reparti (ne abbiamo parlato in questo articolo). Forse si potrebbe estendere questo servizio anche alle zone esterne agli edifici, almeno negli ospedali privi di Pronto Soccorso, come era il caso del paziente deceduto.
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BIBLIOGRAFIA
[1] Regione Toscana. “Linee di indirizzo regionali per la gestione delle emergenze intraospedaliere”. 2019. Pag. 28
[2] Brooks SC, Clegg GR, Bray J, et al. “Optimizing outcomes after out-of-hospital cardiac arrest with innovative approaches to public-access defibrillation: A scientific statement from the International Liaison Committee on Resuscitation“. Resuscitation. 2022;172:204-228
[3] Legge 4 agosto 2021, n. 116 “Disposizioni in materia di utilizzo dei defibrillatori semiautomatici e automatici”
[4] Nicolini L. “Pronto soccorso di Roma pieni, 50 ambulanze bloccate con pazienti a bordo”. Articolo pubblicato sul sito web Romatoday il 27 aprile 2022 (link)
Foto di F. Muhammad da Pixabay