La legge Gelli affronta importanti temi quali la sicurezza delle cure, la responsabilità civile e penale dell’esercente la professione sanitaria e della struttura sanitaria. Vediamo insieme i punti salienti della legge, articolo per articolo
La legge n. 24/2017 (più nota come legge Gelli)[1] sulla responsabilità professionale sanitaria, entrata in vigore il 01 aprile 2017, nata con l’obiettivo di combattere l’aumento indiscriminato del contenzioso medico-legale (i risarcimenti danno al paziente) e il fenomeno della “medicina difensiva” (ovvero l’esecuzione di prestazioni cliniche da parte dei medici al solo scopo di tutelarsi dal rischio di azioni legali), ha introdotto importanti novità in materia di sicurezza delle cure e di responsabilità professionale degli operatori sanitari.
Vediamo di seguito quali sono, articolo per articolo, i punti salienti della legge accompagnati da un breve commento esplicativo.
Articolo 1
L’art. 1 prevede che “La sicurezza delle cure si realizza anche mediante l’insieme di tutte le attività finalizzate alla prevenzione…” e che “Alle attività di prevenzione del rischio messe in atto dalle strutture sanitarie e sociosanitarie, pubbliche e private, è tenuto a concorrere tutto il personale, compresi i liberi professionisti che vi operano in regime di convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale”[2]. La sicurezza delle cure diventa parte costitutiva del diritto alla salute e ogni operatore sanitario è tenuto a concorrere alla prevenzione del rischio connesso all’erogazione delle prestazioni sanitarie.
La legge Gelli, promuovendo “l’utilizzo appropriato delle risorse strutturali, tecnologiche e organizzative”,[3] introduce per la prima volta l’appropriatezza organizzativa nell’ambito delle attività finalizzate alla prevenzione e alla gestione del rischio clinico. L’errore non viene più analizzato in maniera isolata, ma come conseguenza di problemi più generali presenti nell’ambiente di lavoro e nell’organizzazione.
Articolo 2
L’art. 2 istituisce, in ogni Regione, il “Centro per la Gestione del rischio sanitario e la sicurezza del paziente”, con il compito di raccogliere “dalle strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private i dati regionali sui rischi ed eventi avversi e sul contenzioso”.[4] I Centri regionali dovranno fornire alle aziende sanitarie indicazioni sulla gestione degli eventi sentinella, diffondere le conoscenze derivanti dalla loro analisi ai fini dell’apprendimento dell’esperienza che ne deriva, mettere a punto e diffondere le buone pratiche per la sicurezza in relazione a tutte le questioni inerenti il rischio sanitario.
Lo stesso articolo prevede l’obbligo di pubblicare sul sito web della struttura sanitaria una relazione annuale sugli eventi avversi verificatisi, sulle cause che hanno prodotto ogni evento avverso e sulle conseguenti iniziative messe in atto.[5]
Articolo 3
L’art. 3 istituisce l’Osservatorio nazionale delle buone pratiche sulla sicurezza nella sanità.[6] L’Osservatorio acquisisce dai Centri regionali per la gestione del rischio sanitario e la sicurezza del paziente (di cui sopra) i dati relativi ai rischi ed eventi avversi nonché alle cause, all’entità, alla frequenza e all’onere finanziario del contenzioso. L’Osservatorio ha il compito di provvedere, anche con l’ausilio delle società scientifiche e le associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie, all’emanazione di linee di indirizzo per la prevenzione e la gestione del rischio sanitario, al monitoraggio delle buone pratiche per la sicurezza delle cure nonchè fornire indicazioni per la formazione e l’aggiornamento degli operatori sanitari.
Articolo 4
L’art. 4 è dedicato principalmente alla trasparenza dei dati[7] e ai tempi di accesso ai documenti amministrativi.[8] Prevede che tutte le strutture sanitarie rendano disponibili, attraverso la pubblicazione sul proprio sito internet, i dati relativi ai risarcimenti erogati nell’ultimo quinquennio.[9]
Articolo 5
L’art. 5 prevede che “Gli esercenti le professioni sanitarie, nell’esecuzione delle prestazioni sanitarie con finalità preventive, diagnostiche, terapeutiche, palliative, riabilitative e di medicina legale, si attengono, salve le specificità del caso concreto, alle raccomandazioni previste dalle linee guida”.[10] Le linee guida saranno elaborate da enti e istituzioni pubblici e privati, società scientifiche e associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie iscritte in un apposito elenco istituito dal Ministro della Salute. Le linee guida, previa verifica della sussistenza di tutti i requisiti di legge, entreranno a far parte del Sistema nazionale per le linee guida (SNLG), organismo gestito dall’Istituto Superiore di Sanità.[11] In mancanza di linee guida ci si dovrà attenere alle “buone pratiche clinico assistenziali”[12] (in pratica, alle evidenze scientifiche).[13] [14]
Articolo 6
Questo è uno degli articoli più importanti della legge Gelli. L’art. 6 introduce l’adesione alle linee guida come fattore esimente da responsabilità per gli operatori sanitari per i casi imperizia (il sanitario continuerà a rispondere in caso di imprudenza e negligenza, in quanto condotte non scusabili). Ciò si realizza attraverso l’introduzione, all’interno del codice penale italiano, dell’art. 590 sexies il quale prevede l’esclusione della responsabilità penale in carico a tutti gli operatori sanitari nei casi di imperizia qualora siano state rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida.[15] Condizione posta dall’art. 590 sexies per esimere da responsabilità il sanitario è che le “linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto”. Questo significa che il professionista sanitario dovrà valutare preliminarmente l’adeguatezza delle linee guida al caso concreto cioè alle peculiarità del singolo paziente e, ove occorra, non applicarle.
Articolo 7
Questo articolo afferma che l’ospedale risponde non solo dell’operato dei propri dipendenti, ma anche del proprio operato qualora i danni al paziente siano dipesi dall’inadeguatezza della struttura.[16]
La responsabilità professionale diviene di natura “extracontrattuale” per gli esercenti la professione sanitaria, cosa che obbliga il paziente che ha subito un danno in ospedale a dimostrare la colpa di chi l’ha curato. Vi è quindi un completo rovesciamento rispetto alla normativa precedente quando era il sanitario a doversi difendere da eventuali accuse. Quella della struttura sanitaria resta “contrattuale” e quindi in questo caso spetta all’ospedale provare di non avere responsabilità per i danni subiti dal paziente.[17]
Il giudice, nella determinazione del risarcimento del danno al paziente, dovrà tener conto del fatto che il sanitario abbia rispettato o meno le buone pratiche clinico-assistenziali e le raccomandazioni indicate dalle linee guida.[18]
Articolo 8
L’art. 8 introduce importanti novità processuali in materia di responsabilità sanitaria. Come noto i contenziosi in ambito sanitario portano a costose e lunghe cause legali. Per ovviare a questo problema la legge prevede che siano intraprese obbligatoriamente, prima di far ricorso alla giustizia ordinaria, forme di risoluzione “amichevoli” delle controversie in materia di responsabilità sanitaria[19] (“Consulenza tecnica preventiva” e “Mediazione”).[20]
Articolo 9
La normativa vigente prevede che in caso di condanna al risarcimento dei danni al paziente l’azienda sia obbligata a sua volta (in caso di condanna del sanitario per dolo o colpa grave)[21] a rivalersi nei confronti del professionista ritenuto responsabile per il recupero delle somme versate (la cosiddetta “rivalsa”). L’art. 9 introduce un limite al precedente obbligo di integrale reintegro patrimoniale della struttura pubblica da parte del dipendente. Il medico, l’infermiere, come qualsiasi altro professionista sanitario con la nuova legge dovrà rifondere all’azienda a titolo di rivalsa una somma corrispondente alla retribuzione annua lorda moltiplicata per tre e non l’intero importo del risarcimento come accadeva prima della legge Gelli.[22] Ai fini della quantificazione del danno da risarcire viene stabilito che il giudice contabile tenga conto delle situazioni di fatto di particolare difficoltà, anche di natura organizzativa, palesate dalla struttura sanitaria pubblica in cui l’operatore abbia esercitato la sua attività.[23]
Articolo 10
Questo articolo introduce una novità importante e cioè l’obbligo, per tutte le strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private, di assicurarsi per responsabilità civile contro terzi anche per danni causati dal proprio personale. Dispone altresì l’obbligo per ciascun esercente la professione sanitaria operante a qualunque titolo in aziende del Servizio Sanitario Nazionale, in strutture o in enti privati, di provvedere alla stipula, con oneri a proprio carico, di un’adeguata polizza di assicurazione per colpa grave.[24] Questo a garanzia dell’azione di rivalsa (di cui abbiamo parlato prima) che l’azienda potrebbe promuovere nei suoi confronti.[25]
Articolo 11
L’articolo dispone alcuni requisiti che le polizze assicurative dovranno avere. In particolare dispone che le polizze garantiscano un periodo di “retroattività” di 10 anni che copra le richieste di risarcimento pervenute durante la vigenza della polizza ma che abbiano avuto origine prima della stipula della polizza stessa, e un periodo di “ultrattività” sempre di 10 anni che copra il professionista in caso di cessazione definitiva dell’attività professionale per tutti gli eventi accaduti durante il periodo di vigenza della polizza, ma denunciati nei 10 anni successivi.
Articolo 12
L’art. 12 contempla , analogamente a come accade per la RC auto, la possibilità di azione diretta, da parte del paziente danneggiato, nei confronti dell’impresa di assicurazione della struttura sanitaria o del professionista sanitario.[26] Laddove l’assicurazione e la struttura siano condannati al risarcimento, gli stessi hanno azione di rivalsa nei confronti del sanitario. [27]
Articolo 13
L’articolo 13 prevede che le strutture sanitarie e sociosanitarie e le compagnie di assicurazione comunichino all’esercente la professione sanitaria l’instaurazione di un giudizio promosso nei suoi confronti da parte del paziente danneggiato. Lo scopo è quello di favorire l’eventuale partecipazione del sanitario a quei procedimenti che potrebbero, in caso di dolo o colpa grave, dar corso, nei suoi confronti, ad un’azione di rivalsa o di responsabilità amministrativa.[28]
Articolo 14
L’articolo 14 prevede l’istituzione, da parte del Ministero della Salute, di un Fondo di garanzia per i danni derivanti da responsabilità sanitaria.[29] Il fondo ha il fine di garantire il risarcimento dei danni nei casi in cui gli importi eccedano i massimali coperti dalle polizze stipulate dalle strutture sanitarie o dal sanitario, o in caso di insolvenza (es. fallimento) dell’impresa assicurativa.
Articolo 15
L’articolo 15 riforma la disciplina sulla nomina dei CTU (Consulenti Tecnici d’Ufficio) in ambito civile e dei Periti in ambito penale. Prevede in particolare che nei procedimenti civili e penali aventi ad oggetto malpractice sanitaria il professionista sanitario citato a giudizio debba essere giudicato da un team formato da un medico legale, necessario alla quantificazione del danno, e da “uno o più specialisti nella disciplina che abbiano specifica e pratica conoscenza di quanto oggetto del procedimento“.[30] Il medico legale dovrà quindi essere affiancato da uno o più specialisti del settore oggetto della questione tecnica da decidere (medico, infermiere o altro professionista sanitario).
Articolo 16
La conoscenza dei fattori che hanno contribuito all’accadimento di un evento avverso aiuta la struttura sanitaria o l’operatore a non ripetere lo stesso evento in futuro. A tal fine gli operatori devono sentirsi liberi di segnalare i problemi senza temere ritorsioni o punizioni immeritate. L’art. 16 conferma la logica non punitiva delle segnalazioni, stabilendo che “I verbali e gli atti conseguenti all’attività di gestione del rischio clinico non possono essere acquisiti o utilizzati nell’ambito di procedimenti giudiziari”.[31] Quindi non solo gli atti non possono essere acquisiti ma quando anche fossero stati forniti per errore sarebbero comunque non utilizzabili.
In un altro articolo abbiamo visto due “miti” da sfatare sulla legge Gelli (qui).
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BIBLIOGRAFIA
[1] Legge n. 24/2017. “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie”. Pubblicata su GU Serie Generale n.64 del 17-3-2017.
[2] Ibidem. Art. 1
[3] Ibidem
[4] Art. 2, comma 4
[5] Art. 2, comma 5
[6] Art. 3, comma 1
[7] Art. 4, comma 1
[8] Art. 4, comma 2
[9] Art. 4, comma 3
[10] Art. 5, comma 1
[11] Art. 5, comma 3
[12] Art. 5, comma 1
[13] Labella B., Caracci G., Tozzi Q., De Blasi R. “Le buone pratiche per la sicurezza dei pazienti”. Monitor, 11/31, 21-34, 2012
[14] Benci L., Bernardi A., Fiore A., et al. “Sicurezza delle cure e responsabilità sanitaria” (Commentario alla legge 24/2017). Edizioni Quotidiano Sanità. Roma 2017, pagg. 72-79
[15] Legge n. 24/2017. Art. 6, comma 1
[16] Art. 7, comma 1
[17] Art. 7. comma 3
[18] Ibidem
[19] Art. 8, comma 1
[20] Art. 8, comma 2
[21] Art. 9, comma 1
[22] Art. 9, comma 5
[23] Ibidem
[24] Art. 10, comma 3
[25] Art. 9, comma 1
[26] Art. 12, comma 1
[27] http://www.salvisjuribus.it/la-responsabilita-medica-art-art-1218-o-2043-cc-la-balduzzi-e-la-gelli-nel-tentativo-di-rispondere-al-quesito/
[28] Legge n. 24/2017. Art. 13, comma 1
[29] Art. 14, comma 1
[30] Art. 15, comma 1
[31] Art. 16, comma 1