Non solo fattori umani, errori ed eventi avversi in ospedale possono dipendere anche da una cattiva organizzazione del lavoro. Vediamo perchè
Come in tutti i sistemi complessi, quali l’aviazione, le centrali nucleari o i sistemi di difesa militare, anche in ambito sanitario possono verificarsi incidenti ed errori. Per lungo tempo si è data la responsabilità di errori ed eventi avversi solo all’uomo, al fattore umano mentre gli incidenti raramente derivano da una singola causa, ma piuttosto derivano da molteplici fattori che, entrando in relazione tra loro, causano un incidente.
Secondo letteratura esistono errori “attivi”, di cui fanno parte anche gli errori umani, e gli errori “latenti”, i veri difetti di progettazione del sistema, che agiscono come concause nel verificarsi di un evento.[1] L’errore attivo è ben identificabile e prossimo al verificarsi dell’evento avverso; spesso è riconducibile ad un’azione sbagliata commessa da un operatore, come per esempio la somministrazione di un farmaco al posto di un altro. Gli errori latenti sono invece, perlopiù, insufficienze organizzative-gestionali del sistema, che hanno creato le condizioni favorevoli al verificarsi di un errore attivo.
È dunque ai fattori latenti, cioè ai fattori di rischio “nascosti” all’interno dell’organizzazione del lavoro che occorre guardare per prevenire gli eventi avversi, infatti tanto più un sistema contiene fattori latenti tanto più è possibile che un errore umano si produca. Possiamo affermare che si tratti di un errore di natura organizzativa quando, all’indomani di un incidente, si risponde positivamente alla domanda: “Un’altra persona in quella situazione avrebbe fatto lo stesso errore?” Se la risposta è affermativa allora ci troviamo di fronte ad un errore organizzativo.[2]
Esempi di errori latenti sono gli errori legati alle tecnologie (errori di progettazione, mancata manutenzione) e gli errori gestionali (non corretta distribuzione dei carichi di lavoro, non chiarezza sui compiti e sulle responsabilità, insufficiente addestramento del personale). Ad esempio, la somministrazione di un farmaco sbagliato è un errore attivo commesso da un operatore, facilmente identificabile come comportamento sbagliato, ma è necessario ripercorrere a ritroso tutte le fasi del processo di lavoro, per individuare le circostanze che, direttamente o indirettamente, lo hanno reso possibile. Per esempio la Cassazione ha annullato la sentenza di condanna per omicidio colposo per un’infermiera che, sulla base delle indicazioni ricevute da un medico specializzando, aveva materialmente provveduto a preparare e somministrare una dose, poi risultata eccessiva, di farmaco chemioterapico ad una paziente provocandone il decesso. Ricorrendo in Cassazione, l’infermiera sottolineava come la sua condotta si era inserita in un ambito operativo di grave disorganizzazione, doglianza che veniva accolta dalla Cassazione, tanto che annullava la sentenza e rinviava il caso ad un nuovo giudizio.[3]
Un altro episodio ha visto il caso di un paziente morto durante l’induzione dell’anestesia, prima dell’avvio di un intervento chirurgico, a causa del non corretto utilizzo dell’apparecchiatura biomedicale. L’operatore, infatti, era stato appena assunto, e non aveva ancora svolto una specifica formazione per l’inserimento e per l’utilizzo di una nuova apparecchiatura, che non era mai stata utilizzata dallo stesso. Ciò ha messo in evidenza una carenza del sistema organizzativo, più che la responsabilità individuale, in particolare una carente attuazione di programmi formativi.[4]
Accanirsi verso chi si è reso responsabile di un errore, come avviene nelle strutture dove vige la “cultura della colpa”, può rivelarsi una strategia del tutto sbagliata. Eventuali provvedimenti in questo caso non sono risolutivi, perchè si concentrano solo sugli effetti e non sulle cause del problema. E se non si eliminano le cause, il problema rimane.
Cosa fare?
Un’adeguata gestione del personale, la definizione precisa delle responsabilità, lo scambio di informazioni, l’attenzione della direzione alla promozione della sicurezza del paziente, la realizzazione sistematica di programmi per la formazione e l’aggiornamento professionale sono fattori che concorrono a produrre una “cultura della sicurezza” aziendale, che può modificare i comportamenti individuali e collettivi e contribuire a ridurre in in modo significativo il numero di errori ed eventi avversi.
Opportunamente la legislazione più recente in materia di sicurezza delle cure (legge 24/2017) ha posto l’efficienza organizzativa come condizione necessaria per un’adeguata gestione del rischio sanitario. [5]
In un altro articolo abbiamo parlato di criticità organizzative e responsabilità professionale (qui).
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BIBLIOGRAFIA
[1] Reason J. “L’errore umano”. Ed. Il Mulino, 1990
[2] Catino M. “Errori e disastri nei sistemi complessi”. Diritto Penale e Uomo (DPU), 2020
[3] Ruggieri R. “Errata cura chemioterapica: può l’infermiere affidarsi alle indicazioni di un medico specializzando?”. Articolo pubblicato sul sito web Retidigiustizia in data 12 Settembre 2020 (link)
[4] Ministero della salute. “Sicurezza dei pazienti e gestione del rischio clinico: Manuale per la formazione degli operatori sanitari“. Pag. 118
[5] Legge 24/2017. “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie”. Art. 1