La crisi drammatica determinata dal Coronavirus ha evidenziato come negli ospedali manchino figure mediche ed infermieristiche appositamente dedicate al controllo delle infezioni
L’11 marzo 2020 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha qualificato la malattia da Covid-19 come pandemia. L’Italia si è trovata inizialmente in difficoltà nell’affrontare questa nuova minaccia, non solo per l’inedita potenzialità del virus, ma anche per l’evidenza di alcune criticità che si sono manifestate nel nostro Servizio Sanitario Nazionale sul fronte della lotta alle malattie infettive.
Tra i principali fattori che hanno ostacolato la capacità dei servizi ospedalieri di controllare il rischio infettivo troviamo l’assenza di figure appositamente dedicate alla lotta alle infezioni. Dal 2009 al 2019 risulta ridotta del 8,3% la già esigua dotazione di specialisti in malattie infettive e tropicali.[1] Inadeguata anche la presenza di infermieri addetti alla prevenzione, controllo e sorveglianza delle infezioni ospedaliere.[2] Oggi la pandemia da Coronavirus ha fatto emergere questa criticità in tutta la sua evidenza, ponendo domande sull’adeguatezza degli strumenti esistenti all’interno degli ospedali per prevenire o fronteggiare eventi pandemici come quello che stiamo ancora vivendo.
Già nel 2017 l’Italia era stata oggetto di una ricerca da parte del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) volta a comprendere e valutare appieno le cause dell’aumento delle infezioni correlate all’assistenza sanitaria (ICA) nel nostro paese, che risultava particolarmente marcato rispetto agli altri paesi europei. A seguito delle molte criticità riscontrate l’ECDC suggeriva di adottare adeguate contromisure tra le quali “l’aumento del numero di professionisti ospedalieri specializzati nella prevenzione e controllo delle infezioni”, oltre a tutta una serie di altri interventi che purtroppo sono rimasti, nella stragrande maggioranza dei casi, disattesi.[3]
A partire dagli anni novanta, considerato il variare dei contesti di cura, non si è parlato più solo di infezioni ospedaliere ma di infezioni correlate all’assistenza sanitaria (ICA). Le ICA rappresentano, anche nei paesi sviluppati, la principale causa di morte e di aumento della morbosità per i pazienti ospedalizzati. Secondo l’ECDC in Europa ogni anno circa 4,1 milioni di pazienti contraggono un’infezione correlata all’assistenza.[4] Il problema ha pertanto assunto dimensioni tali da non poter essere più ignorato o sottovalutato. Bisogna anche considerare che a questo tema è strettamente connesso quello dell’antibiotico-resistenza, dato che molte infezioni sono sostenute da germi resistenti.[5]
Già nel 2008 la Commissione Europea indicava come la prevenzione e il controllo delle infezioni nosocomiali dovessero essere una priorità per le aziende sanitarie. Il Ministero della salute, a partire dal 2015, allo scopo di favorire una maggiore attività di prevenzione e controllo, favoriva l’istituzione, all’interno di ogni azienda sanitaria, di un apposito organismo denominato “Comitato per il Controllo delle Infezioni Correlate all’Assistenza“.[6, 7] Il Comitato per la lotta alle ICA rappresenta una delle dimensioni del “governo clinico”, termine con il quale si definisce l’insieme delle iniziative poste in essere dalla struttura sanitaria per il miglioramento della qualità e la sicurezza delle cure. A detto Comitato sono attribuite principalmente le funzioni di provvedere alla definizione, al controllo e alla revisione periodica delle procedure riguardanti tutte le attività correlate al rischio infettivo, verificare l’applicazione dei programmi di sorveglianza e misurarne efficienza ed efficacia, promuovere la formazione in materia di prevenzione e controllo delle infezioni per il personale sanitario e di supporto, eseguire una sorveglianza regolare e di routine delle infezioni associate all’assistenza sanitaria (incluse la resistenza antimicrobica) per guidare gli interventi e rilevare le epidemie, con un rapido feedback dei risultati agli operatori sanitari e alle autorità sanitarie. Nel tempo molte aziende sanitarie si sono adeguate alla normativa, ma non la totalità.
Come detto la pandemia ha dimostrato una pericolosa impreparazione degli ospedali nell’affrontare le nuove minacce come il Coronavirus. Sarebbe opportuno, quindi, prevedere la presenza in tutte le strutture sanitarie di figure mediche ed infermieristiche appositamente dedicate, ciascuna per le proprie competenze, alla gestione di tutti i processi, numerosi e complessi, che riguardano la prevenzione e il controllo delle infezioni, primo tra tutti l’organizzazione di protocolli operativi, con lo sviluppo sia di azioni di prevenzione sia di interventi di preparazione alle emergenze,[8, 9] per evitare che quanto accaduto nella prima fase della pandemia riaccada di nuovo. La preparazione alle emergenze e i piani di risposta dovrebbero chiarire ruoli e responsabilità durante l’emergenza al fine di assicurare una risposta coordinata ed efficace, in caso di necessità.
La presenza di queste attività di controllo assume importanza anche alla luce della legge 24/2017 (più nota come “legge Gelli”) sulla sicurezza delle cure e la prevenzione del rischio sanitario, che impone il rispetto delle linee guida messe a punto dalle società scientifiche sulla base della buona pratica clinica.[10] In tal senso sarebbe auspicabile, a livello aziendale, una maggiore collaborazione tra gli organismi aziendali deputati alla gestione del rischio sanitario e quelli di gestione del rischio infettivo, come peraltro raccomandato dalle autorità sanitarie.[11]
In un altro articolo abbiamo parlato della lotta al Coronavirus dal punto della responsabilità professionale degli operatori (link).
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BIBLIOGRAFIA
[1] Giovanna Vicarelli e Guido Giarelli (a cura di), “Libro Bianco. Il Servizio Sanitario Nazionale e la pandemia da Covid-19. Problemi e proposte”. FrancoAngeli editore, Milano 2021. Pag. 71
[2] “Infezioni ospedaliere. Troppi pochi infermieri specializzati e medici igienisti e l’Italia ha il record di decessi: quasi 11mila l’anno e se non si interverrà il bilancio sarà di 450mila morti nel 2050“. Articolo pubblicato sul portale di informazione sanitaria Quotidianosanità il 29-11-2021 (link)
[3] Convegno Fondazione Italia In Salute. “La Gestione del Rischio Sanitario a cinque anni dalla Legge n. 24/2017: le attività dei Centri Regionali per la sicurezza delle cure e dei Clinical Risk Manager a confronto”. Roma, 13 dicembre 2022. Intervento del Prof. Walter Ricciardi
[4] European Centre for Disease Prevention and Control. “Economic evaluations of interventions to prevent healthcare-associated infections”. ECDC, 2017
[5] Moro M. L., Ciofi Degli Atti M., D’Amore C. et al. “Buone pratiche per la sorveglianza e il controllo dell’antibiotico-resistenza”. Epidemiol Prev 2019; 43 (2-3):185-193
[6] A livello nazionale, nel febbraio 2015, è stata sancita l’Intesa in Conferenza Stato-Regioni, ai sensi dell’art. 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, in materia di adeguamenti relativi all’accreditamento delle strutture sanitarie che ha definito modalità e tempi di attuazione del “Disciplinare tecnico” (Intesa 20 dicembre 2012)
[7] Circolari Ministeriali 52/1985 (Lotta contro le infezioni ospedaliere) e 8/1988 (Lotta contro le infezioni ospedaliere: la sorveglianza)
[8] Sito internet Ministero della salute. “Infezioni correlate all’assistenza: cosa sono e cosa fare” (link)
[9] Ministero della salute. “Manuale di formazione per il governo clinico, la sicurezza dei pazienti e degli operatori “. 2012. Pag. 29
[10] Legge n. 24/2017. “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie”
[11] Commissione salute, coordinamento rischio clinico, sicurezza delle cure. “Sinergie e integrazione tra rischio clinico e rischio infettivo”. Documento di consenso. Maggio 2019. Pag. 7