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Il burnout in ambiente sanitario: caratteristiche, prevenzione e trattamento

Vediamo in cosa consiste il burnout e cosa è possibile fare per prevenire e mitigare le conseguenze di questa sindrome negli operatori sanitari

 

Il termine burnout significa letteralmente “bruciato”, “logorato”, “fuso”. Il fenomeno si sviluppa in quei contesti sociali e sanitari dove l’obiettivo dell’attività lavorativa è la cura e la relazione d’aiuto. Il concetto di burnout è nato in ambiente sanitario (infermieri, medici, ecc.) perché questo è il contesto nel quale maggiore è il coinvolgimento emotivo e l’empatia nei confronti delle altre persone. La nozione di burnout è stata poi estesa nel tempo anche ad altre professioni d’aiuto come insegnanti, forze dell’ordine, operatori sociali, ecc. anche se oggi si ritiene che questa sindrome possa insorgere in qualsiasi contesto organizzativo, data la riconosciuta importanza della componente relazionale.

I primi sintomi sono il distacco emotivo e l’insofferenza verso l’utenza, condizione che rappresenta il rovesciamento dell’attività lavorativa basata sulla relazione d’aiuto. Il burnout è un processo che si auto-rinforza poiché distacco, pessimismo e ostilità conducono al fallimento della relazione di aiuto, in un processo a spirale. Una importante studiosa del burnout, Christina Maslach, lo ha definito una specifica sindrome da stress cronico caratterizzata da tre dimensioni:[1]

  1. L’esaurimento emotivo, è la componente centrale e tipica, consiste nella sensazione della persona di aver bruciato tutte le sue energie psicologiche ma anche fisiche
  2. La depersonalizzazione, è la componente tipica che differenzia il burnout dallo stress ed è caratterizzata da un eccessivo distacco emozionale dagli utenti fino ad arrivare ad un assoluto disinteresse ed a trattarli come oggetti o numeri piuttosto che come persone
  3. A queste due dimensioni più tipiche la Maslach aggiunge anche una terza dimensione, la ridotta efficacia professionale, conseguente al fatto che la persona sente un senso di inadeguatezza e mancanza di fiducia circa le proprie possibilità di riuscita nell’attività professionale.

 

Le conseguenze del burnout

A livello individuale il soggetto può andare incontro, in particolare a disturbi psicosomatici, problemi di salute, disturbi depressivi, abuso di sostanze, abbassamento della soddisfazione lavorativa, aumento dell’intenzione di lasciare il posto di lavoro, disturbi del sonno e altri. A livello organizzativo le conseguenze più frequentemente citate dalla letteratura sono l’assenteismo, il turnover, il calo della performance.

 

I principali approcci allo studio del burnout

I primi approcci allo studio del fenomeno avevano ipotizzato che vi fosse una predisposizione individuale all’insorgenza del burnout, legata ad una particolare sensibilità sul piano emotivo oppure avere aspettative elevate nei confronti del lavoro che poi vengono disattese nel momento in cui ci si trova in contatto con la realtà.

Gli studi hanno poi ipotizzato che la causa primaria fosse il sovraccarico emozionale a cui l’operatore si trova esposto e che l’esaurimento emotivo fosse la prima e diretta conseguenza delle eccessive richieste interpersonali con il paziente.

Si è passati, più recentemente, ad una prospettiva che tiene conto dell’organizzazione nel suo insieme, al contesto lavorativo nel quale l’operatore è immerso. Considera una serie di variabili strutturali, culturali e di ruolo, ed il loro impatto sul livello di burnout. Come vedremo queste sono quelle sulle quali è maggiormente possibile intervenire con eventuali correttivi. La variabile organizzativa più frequentemente presa in considerazione è il carico di lavoro insieme alle richieste provenienti dal “capo” e al rapporto con i colleghi.

 

Differenze tra burnout e stress lavorativo

Mentre lo stress presenta sempre uno specifico quadro psico-fisico, il burnout si caratterizza maggiormente per le dimensioni psicologiche ed emotive che lo connotano. Mentre lo stress costituisce in genere una reazione momentanea di adattamento, il burnout è una condizione persistente, duratura nel tempo.[2] Altra differenza è che mentre lo stress può essere legato a diversi aspetti della vita lavorativa, il burnout comprende necessariamente un aspetto legato alla dimensione interpersonale cioè alle pressioni che si ricevono dalle altre persone siano esse pazienti o colleghi. In questo senso si connotano come burnout anche le eccessive richieste lavorative da parte del “capo”.[3] Inoltre lo stress può essere connotato in maniera positiva (il cosiddetto stress buono o eustress), mentre il burnout è sempre una dimensione negativa per il lavoratore.

 

Importanza delle relazioni interpersonali

Per enfatizzare il ruolo centrale svolto nel processo di burnout dalle relazioni interpersonali nell’attività lavorativa  è stato recentemente introdotto il concetto di Interpersonal Strain[4] che si riferisce a una specifica reazione di distacco verso le relazioni interpersonali e le pressioni sociali attraverso cui la persona stabilisce una distanza emotiva e cognitiva nei confronti degli altri soggetti del proprio ambiente lavorativo; in pratica è stato recuperato il concetto di depersonalizzazione, di cui abbiamo parlato prima, ma non inteso esclusivamente come rapporto con il paziente.

 

Quali modelli si usano oggi per studiare il burnout?

Uno dei modelli più studiati a livello internazionale è il modello Job Demands-Resources. Secondo questo modello i contesti lavorativi (non solo quelli socio sanitari ma anche gli altri contesti) sono caratterizzati principalmente da due fattori: richieste lavorative e risorse lavorative. 

  1. Le richieste lavorative riguardano gli aspetti fisici, psicologici, sociali e organizzativi del lavoro che richiedono sforzi fisici e/o psicologici intensi e che pertanto espongono a rischio di burnout. Gli esempi più tipici sono: relazioni emotivamente estenuanti come quelle che si instaurano con i pazienti, mancanza di tempo, eccessivo carico di lavoro, eccessive richieste da parte del “capo”, conflitto lavoro-famiglia.
  2. Le risorse lavorative riguardano invece tutti gli aspetti fisici, psicologici, sociali e organizzativi che riducono le richieste lavorative e riducono il rischio di burnout. Gli esempi in questo caso sono: autoefficacia, autostima, ottimismo, relazioni favorevoli con i colleghi e il capo, autonomia lavorativa, varietà dei compiti, possibilità di ricevere feedback adeguati sul proprio lavoro.

Le persone sono pertanto esposte ad un bilanciamento continuo tra questi due opposti, richieste e risorse, dove uno squilibrio prolungato delle une sulle altre può indurre al burnout, se invece, al contrario, le risorse sono superiori si riesce a fronteggiarlo e a favorire il benessere e la motivazione personale (detto Job Engagement). Non sempre le richieste sono modificabili, mentre con le risorse si può agire in maggior misura, come vedremo, con eventuali correttivi.

Un altro modello è quello elaborato da Maslach e Leiter. Le novità apportate da questo modello sono sintetizzate nei seguenti punti: a) il burnout è messo in relazione non solo con il paziente ma anche andando a vedere alcune variabili organizzative come sono percepite dalle persone; b) si estende il concetto di burnout dal contesto sociosanitario a tutte le altre professioni; c) mentre prima si vedeva il burnout solo come un unico polo negativo da contrapporre alla sua mancanza adesso lo si considera in relazione al suo polo opposto che è la motivazione, il coinvolgimento, quello che abbiamo chiamato il job engagement.

Secondo questo modello la percezione negativa di alcune aree della vita lavorativa possono predisporre al burnout, prendendo in considerazione sei aeree:

  1. Carico di lavoro, corrisponde al carico di lavoro da svolgere rapportato alle capacità di ogni dipendente di farvi fronte
  2. Mancanza di controllo, se l’operatore ha la percezione di controllare, di svolgere in maniera autonoma il proprio lavoro è protetto dal rischio di burnout
  3. Valori, si riferisce alla congruenza tra i propri valori personali e quelli promossi dall’organizzazione
  4. Integrazione sociale, la solidarietà, il sostegno, l’integrazione quindi vivere un buon clima di gruppo è protettivo dal rischio
  5. Equità, quei contesti dove non c’è percezione di equità nel trattamento con gli altri membri facilita l’insorgenza del burnout
  6. Riconoscimento, corrisponde al riconoscimento del proprio lavoro sia in termini economici che professionali e sociali.

Per individuare eventuali percezioni negative in queste aree viene somministrato un questionario agli operatori al fine di apportare eventuali interventi correttivi. Se si trovano delle percezioni negative gli autori identificano quattro aree su cui intervenire a livello organizzativo per prevenire il burnout e costruire il job engagement:

  1. Leadership: il leader, il “capo” deve incoraggiare la partecipazione e il pensiero creativo, incoraggiare il lavoro di gruppo, facilitare lo sviluppo di relazioni positive tra i colleghi, rimuovere o mitigare eventuali situazioni di conflitto, ecc.
  2. Comunicazione: trasferire le informazioni a tutti i livelli, anche qui il ruolo del leader è fondamentale
  3. Sviluppo delle capacità: avviare processi di sviluppo delle competenze e delle professionalità
  4. Coesione gruppo di lavoro: lavorare alla coesione del gruppo rafforzando l’identità collettiva ed il senso di appartenenza.

 

Diagnosi di burnout

Il primo e più importante passo nella prevenzione e/o nella guarigione da burnout è quello di riconoscere il problema e valutare oggettivamente la situazione. Per una corretta diagnosi potrebbe essere utile una consulenza psicologica o psichiatrica, servendosi anche di strumenti di valutazione quale la Maslach Burnout Inventory, messo a punto dalla psichiatra Christina Maslach e ampiamente usata per la diagnosi di burnout. Il test misura i sintomi della sindrome seguendo i parametri di depersonalizzazione, realizzazione personale e soddisfazione emotiva, ovvero le tre aree dell’umore interessate maggiormente dal burnout. Grazie a questo test è possibile circoscrivere e quantificare la condizione di stress e capire il livello di gravità del disturbo.

 

Come intervenire?

Distinguiamo due livelli di intervento, quelli rivolti all’individuo e quelli rivolti all’organizzazione. Per quanto riguarda gli interventi a livello individuale sono di riconosciuta efficacia le tecniche cognitivo-comportamentali.[5] Queste possono riguardare interventi sul corpo (esercizi di respirazione e di rilassamento), sulla mente (esercizi per l’arresto dei pensieri negativi, il controllo delle emozioni), o finalizzati allo sviluppo di abilità sociali (assertività, presa di decisione, gestione del tempo).[6] Lo scopo di tali esercizi è l’aumento della consapevolezza di sè, delle proprie emozioni ed il miglioramento della capacità individuale di fronteggiare lo stress lavorativo. Anche il counseling e la psicoterapia si pongono come strategie di recupero rivolte agli individui colpiti dal burnout.[7] 

Gli interventi rivolti all’organizzazione si concentrano sui fattori organizzativi tradizionalmente legati all’insorgenza dello stress quali l’alleggerimento del carico di lavoro, riduzione degli orari di lavoro, definizione chiara di ruoli e compiti (job describtions), riconoscimento dei meriti, rotazione del personale riguardo ad attività particolarmente gravose, sviluppo di carriera, favorire la risoluzione dei conflitti interpersonali.

Spesso l’organizzazione tende a liquidare il burnout come un problema individuale, perchè pensa che è più facile e conveniente “scaricare” il problema su un singolo dipendente piuttosto che ammettere le proprie responsabilità e mettere in discussione abitudini organizzative ormai consolidate. Questo rappresenta un errore molto grave, in quanto il burnout può incidere pesantemente sull’economia dell’intera organizzazione, con consistenti perdite sia finanziarie che produttive come ad esempio: maggior numero di cause intentate per malasanità, contributi per spese sanitarie per la collettività (per la salute mentale e l’abuso di sostanze), assenteismo, congedi per malattia, scarso rendimento, truffe da parte dei dipendenti, elevato turnover, insoddisfazione degli utenti, fuoriuscita anticipata dal lavoro, deterioramento della qualità del servizio.[8]

Per il cambiamento è necessario uno sforzo di tutta l’organizzazione per la strutturazione di un intervento su larga scala, riducendo le percezioni negative che le persone hanno sul proprio posto di lavoro con particolare riferimento alle sei aree di cui abbiamo parlato (carico di lavoro, controllo, riconoscimento, integrazione sociale, equità, valori).

 

 

In un altro articolo abbiamo parlato del ruolo del “Leader” nei contesti sanitari (qui).

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BIBLIOGRAFIA

[1] Maslach, 1982

[2] Schaufeli e Enzmann, 1988

[3] Borgogni, 2012

[4] Borgogni, Consiglio, Alessandri, Schaufeli, 2012

[5] Korczak D, Wastian M, Schneider M., “Therapy of the burnout syndrome”. GMS Health Technol Assess 2012

[6] Borgogni L., Consiglio C. “Job Burnout: evoluzione di un costrutto“. Giornale italiano di psicologia, a. XXIII n.1, 2005, pag. 48

[7] Ibidem

[8] Maslach C., Michael P. Leiter, “Burnout e organizzazioni. Modificare i fattori strutturali della demotivazione al lavoro”. Centro Studi Erickson, 2000

 

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